domenica 31 ottobre 2021

NONO PIANO di Roberta Da Prato

Piano terra. Le porte dell'ascensore si aprono per far entrare una barella. Mi schiaccio in fondo, da qui la persona sdraiata è una catena montuosa di coperte scure.

«Buongiorno», dice l'infermiere, premendo il sei.

Sesto piano, penso, il piano in cui nascono i bambini.

Stesso ascensore, una barella identica. Otto anni fa c'eri tu lì sopra. Avevo dormito meno di tre ore, ma chi poteva dormire quella notte. Nessuno dorme quando diventa papà. Sulla tua pancia nostro figlio aveva gli occhi chiusi, la mano minuscola stringeva il tuo indice.

Eravate bellissimi.

Frugai la tasca in cerca del cellulare e lì, in ascensore, allungai il braccio per inquadrarvi bene.

«Il flash, cristosanto», imprecai sottovoce.

Il piccolo Luca prese a piangere il pianto disperato dei neonati.

«Non ti preoccupare», dicesti avvicinando la sua bocca al capezzolo. «Va bene così, si calma subito. La foto com'è?»

«Sfocata.»

«Ne farai un'altra.»

Terzo piano. Le coperte sulla barella gemono, forse è una donna che deve partorire. La mia mano, in tasca, stringe il cellulare. Lì dentro ho una foto per ogni giorno di vita di Luca, anzi da prima che nascesse. Quella mattina eri splendida con gli occhi lucidi e il test di gravidanza in mano e ora ho decine di foto di te che soffi baci, la pancia in fuori e gli occhi che ridono.

Quarto piano. Le porte dell'ascensore si aprono e si richiudono. Vi fotografavo insieme, voi due, come foste ancora uniti dal cordone ombelicale. A Luca piaceva, da piccolo. Al mattino, trovavo la forza di alzarmi pensando al momento in cui avrei aperto la porta di casa e lui mi sarebbe corso incontro per fare la foto.

Sesto piano. È il piano in cui nascono i bambini ma non è il mio piano, oggi. La barella esce, l'infermiere saluta di nuovo. Accarezzo il cellulare in tasca come se fosse una cosa viva, una parte di me. Da qualche mese Luca non vuole più essere fotografato, mette la mano davanti alla faccia, non sorride più.

«Senza di te non vuole», ti rispondo se mi chiedi della foto.

«È diventato grande. Va bene così», dici, ma sappiamo entrambi che non è vero. L'ascensore riparte, sono solo in una gabbia vuota.

Nono piano, il mio. So che è l'ultima volta, hanno chiamato per dirmelo, prima. Mi sono chiuso in bagno per non far sentire Luca e non sono riuscito a trattenere un singhiozzo.

«Posso venire anch'io?» mi ha chiesto poi.

«Oggi no. Forse domani», ho mentito.

Esco dall'ascensore e respiro forte.

«Va bene così», dico a voce alta.

Ma nulla va bene. Vorrei solo scappare via. Potrei tornare in ascensore e schiacciare il pulsante con il sei sopra, andare a scattare foto ai bambini appena nati esposti nelle culle, dietro al vetro. Fare finta di esserne il padre felice. Toglierei il flash, questa volta. In tasca, la mano stringe ancora il cellulare.

No.

Scuoto la testa e lascio la presa. Niente foto, oggi. Oggi il mio posto è qui, con te, al nono piano.

Il piano in cui muoiono le mamme.

Spingo la maniglia del reparto ed entro.

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